Christmas might be running a little late this year… adobe christmas christmaslights christmasmagic deer festive season holiday rush illustration illustrator muti neon reindeer shinny tangle vector In borgata il calcio è continua “improvvisazione”, qualche passaggio e qualche corsa, strilli, risate e parolacce. Lui non ci stava a perdere, era un intenditore di calcio: la prendeva con serietà, mentre Ninetto Davoli, per esempio, s’ammazzava dalle risate. Daniel era rimasto indietro, sulla strada del re. Oltre i quindici o sedici anni, la vita attenta e pulita opprime, nega la possibilità di un simile divertimento, così estemporaneo e “anarchico”, e vedere il poeta in cravatta che gioca per strada a trenta e a quarant’anni mette addosso una qualche malinconia. Di sicuro quel mattino annodandosi la cravatta non prevedeva questa piccola occasione per scalmanarsi, ma quando essa si è presentata non ha avuto bisogno di prepararsi o cambiarsi, e neppure di togliersi la giacca. A indovinare dall’esterno, non si direbbe neppure una partita vera e propria, con tutta probabilità si trattava piuttosto di un incontro non prestabilito: una di quelle occasioni offerte dal caso in mezzo alla strada che lo scrittore aveva accolto di buon grado, unendosi, com’era solito fare, a quelle situazioni in cui non si contrasta e non si segnano dei goal, ma si fa semplicemente volare e correre il pallone, si prova qualche finezza, si urla e si ride mentre la palla l’hanno gli altri.

È il modo di essere libero e tipico del bambino, che può correre senza remore dietro al pallone anche fuori della chiesa, dopo la prima comunione, con il vestito della festa e i mocassini, perché a vedere una palla che salta e rotola non si può star lì a guardare. Formarono un cerchio e cominciarono a fare del palleggio, colpendo la palla col collo del piede, in modo da farla scorrere raso terra, senza effetto, con dei bei colpetti secchi. ’erano ormai stufati di giocare, un sabato, alcuni giovanotti più anziani si misero sotto la porta col pallone tra i piedi. Lo scrittore è col pallone tra i piedi sopra una pezza d’erba. Allora il roscetto si alzò e senza fretta rilanciò il pallone verso i giovanotti. Cercò di fare una finezza colpendo il pallone di tacco, ma fece un liscio, e il pallone rotolò lontano verso il Riccetto e gli altri che se ne stavano sbragati sull’erba zozza.

È la fotografia più bella del Pasolini calciatore perché il calcio al pallone è in essa un gesto di libertà e di gioia. Pasolini si prende la libertà di sporcarsi e di sudare quando non dovrebbe, di rovinare i suoi vestiti e magari di dimenticarsi di qualche appuntamento. Tutti conoscevano la passione di Sereni per l’Inter, come del resto tutti erano al corrente dell’altrettanto coriacea fede di Pasolini nel suo Bologna. L’ultima partita a cui ho assistito, è stata la partita tra il Torino e l’Inter, due o tre domeniche fa. Forse la più sentita, ma non certo l’ultima. Il suo ricordo travalica l’occasione singola e si diffonde sul ruolo egemonico del pallone come svago durante le pause di lavorazione del film, forse una sorta di esorcismo contro la martellante crudeltà delle scene che si rappresentavano: “Si arrabbiò: è vero. A portare un chiarimento è la testimonianza di Ugo Chessari, una delle vittime in Salò, reduce, quanto a esperienza calcistica, da una militanza nel settore giovanile della Lazio non molto tempo addietro. Il risultato parla chiaro sull’andamento dell’incontro, qualche equivoco nasce invece dalle ricostruzioni a posteriori, in particolare dalla memoria di Bertolucci che riferisce di un 19 a 13 e di un Pasolini che abbandona il campo stizzito per non essere stato coinvolto nel gioco dai compagni più bravi di lui.

Ancora quella condizione libera, a profusione continua e quasi magmatica, del gioco del pallone, che nella periferia romana riempie le strade e i pomeriggi, tutti gli spiazzi, i prati secchi e le comitive. Quanto alla squadra di Bertolucci, le divise erano opera fantastica della costumista di Novecento (un lavoretto in più, da aggiungere ai circa quattromila costumi già elaborati per il film) Gitte Magrini: maglie viola copiativo con le cifre 900 in giallo verticale, calzettoni a strisce multicolori destinati a sviluppare, per il gioco di gambe, un effetto caleidoscopico (e psichedelico) tale da rendere difficile l’individuazione del pallone ai rivali”. La nazionale macedone si riconosce nei colori e nella simbologia della bandiera nazionale, rossa con un sole giallo a otto raggi. Seconda sala: è dedicata alla storia della Nazionale dai Mondiali 1986 fino ai giorni nostri. E di preciso raccontò una domenica di nebbia trascorsa assieme allo stadio Meazza, per assistere a una partita senza storia disputata appunto tra Inter e Genoa. Anni dopo quel campo avvolto di nebbia sarebbe entrato in alcuni versi di Giudici, per un malinconico ricordo dell’amico da poco scomparso. Ora è il momento di ringraziare tutti i compagni di squadra, i tecnici, i dirigenti, i presidenti, tutte le persone che hanno lavorato accanto a me in questi anni.

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